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Perchè non sono più vegan: la mia esperienza

Questo è il mio personalissimo racconto di come e perchè ho abbandonato la dieta vegan e sono tornata a mangiare di tutto (carne compresa) entrando nel novero dei “vegani pentiti”.
Sono diventata vegana a fine 2012, dopo un’estate passata a leggere con avidità Vegan Home assimilando ogni singola informazione reperibile online sulla scelta vegan: documentari, studi scientifici, semplici esperienze di chi aveva già compiuto questo passo.
La visione di immagini e video sugli allevamenti intensivi mi causava un gran malessere e crisi di pianto, non tanto per l’uccisione in sè degli animali, quanto per la tremenda e asettica crudeltà con cui vengono letteralmente smontati, spesso ancora vivi, senza alcuna pietà umana.
Inoltre, ero fortemente convinta che anche la mia salute avrebbe tratto giovamento da un’alimentazione priva di tossine animali di difficile digestione, cadaverina, putrescina e altre schifezze acide.

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A questo punto ritengo sia necessario fare un passo indietro.
Avrete letto parecchie storie di vegani che sin da piccoli provavano repulsione verso la carne e avrebbero voluto smettere di mangiarla: ecco, io no.
Mio padre ricorda con particolare terrore per la salute del suo portafoglio quell’anno in cui, prima dell’asilo, tiranneggiavo i miei pretendendo che la mia alimentazione fosse costituita esclusivamente da prosciutto crudo.
Fino alla fine delle elementari mangiavo volentieri praticamente solo salumi e formaggi, mentre pane, frutta e verdura bisognava impormeli col ricatto. Alla faccia dell’empatia animale.
Crescendo ho imparato ad apprezzare qualche variante alimentare in più, aggiungendo spontaneamente frutta e verdura ai miei pasti, ma comunque mangiavo carne quasi tutti i giorni e se fosse stato per me sarebbe stata presente sia a pranzo che a cena.
I formaggi erano una vera e propria dipendenza: non avete idea di quante volte mi sono trovata a saccheggiare di nascosto intere vaschette di gorgonzola o pacchetti di brie, di cui mia madre trovava la confezione quasi vuota e un centimetro di formaggio dalla crosta, che lasciavo presa dai sensi di colpa, giusto per farlo assaggiare anche a lei. Bei tempi.

Pur mangiando veramente tanto (a casa mia le porzioni di pasta non erano mai inferiori ai 150 g a testa), nemmeno a livello di salute si è mai reso necessario un cambio di alimentazione nella mia vita: mi ero ritrovata alle superiori, alta 170 cm, a pesare 50 kg (53 l’anno in cui ero al massimo della rotondità), senza un filo di cellulite e convinta che senza carbonara non sarei sopravvissuta.
Fino all’Università non mi è mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di smettere di mangiare carne, consideravo i vegetariani quasi una leggenda metropolitana (non ne conoscevo) e non sapevo neppure che esistessero i vegani.
Per mia natura comunque non ho mai avuto pregiudizi verso il diverso, sono sempre stata molto curiosa e attenta, forse per gli innumerevoli episodi di bullismo subiti durante l’infanzia che mi avevano imposto una grande sensibilità: questo mi ha portata ad avvicinarmi a una realtà totalmente opposta alla mia quotidianità senza sentirmi minacciata né mettermi sulla difensiva.

Durante l’autunno del 2012 conobbi Sir Alex (da allora mio fidanzato e autore della rubrica “The gentleman” sulla rasatura classica qui sul blog) che pur non essendo veg al nostro primo appuntamento mi portò in una gastronomia vegana di cui era cliente abituale negli anni dell’Università. Non è mai stato vegano, ma per il suo metabolismo quel tipo di alimentazione è perfetta.

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Vedere un posto in cui tutto ciò che avevo letto su internet si tramutava in realtà, con vegani veri e cibo vegano vero, mi diede la spinta giusta per portare avanti i miei propositi. Certo, mi alzavo da tavola che avevo sinceramente fame ma ero bella leggera, volevo fare questo passo considerandolo la scelta giusta per la mia salute e per quella degli animali.

Credo che molta gente sia ancora restia a rivolgermi la parola proprio a causa delle prediche che elargivo in quel periodo, presa dall’entusiasmo dei primi tempi, a chiunque osasse parlarmi di cibo. Un ottimo modo per allontanare compagnie indesiderate, ve lo assicuro.
Nel frattempo mia madre fu ricoverata in ospedale per svariati mesi (niente di legato all’alimentazione, tranquilli) e io mi dedicai totalmente al rinnovo della cucina, trasformando le ricette della tradizione familiare in vegan: cannelloni al forno, tiramisù, millesfoglie, crostata, torte, insalata russa, frittata di ceci, parmigiana di melanzane, spezzatino (coi bocconcini di soia)… Tutto vegan.
Alzarsi da tavola era fantastico: una leggerezza incredibile che pian piano smisi di percepire come senso di fame.
Addirittura anche la mia migliore amica divenne vegan, prima ascoltando quello che le raccontavo e informandosi coi documentari, poi perchè dei medici estremamente lungimiranti le prescrissero proprio di eliminare carne e latticini per non far peggiorare un problema di salute di cui soffre.

Dopo un periodo piuttosto lungo arrivarono i primi problemi, poiché mangiavo il più possibile ma continuavo a perdere peso.
Pur sforzandomi di mettere insieme almeno 2000 kcal al giorno in modo sano, riuscirci sempre era un’impresa disperata: mangiavo quintali di mandorle e noci, mi buttavo su cereali e legumi, oggi con olio, domani al pomodoro… Mangiare stava diventando un impegno da portare a termine in maniera rapida e indolore, combattendo un’inappetenza crescente e il rifuto costante per frutta e verdura, di cui comunque programmavo le mie 8 porzioni giornaliere (5 di verdura e 3 di frutta).
Complice lo stress, arrivai a pesare 44 kg per 170, invidiatissima da tante amiche e colleghe ma ben lontana dal mio peso forma.
Premetto che seguendo i consigli alimentari dei medici di Scienza Vegetariana e variando i cibi con criterio non ho sofferto nessuna carenza, né di ferro né tantomeno di B12 (nei primi tempi si utilizza la scorta fatta negli anni da onnivori, e io probabilmente ne avevo per 8 vite),

Quando mia madre tornò a casa dall’ospedale, la sua invalidità mi portò a dovermi occupare della cucina anche per lei, che inizialmente accettò di buon grado la mia scelta cruelty free ma poi, ovviamente, desiderava poter mangiare quello che aveva sempre mangiato.
Così mi trovai a dover cucinare pasti diversi per un nucleo di due persone.
Inoltre, non sempre potevo ritagliarmi il tempo di preparare cereali e legumi, che hanno tempi di cottura immensi, quindi finii a mangiare peggio di come avessi mai fatto: legumi in scatola, cotolette e hamburger vegan (degli impasti preconfezionati di cui mi sforzavo di non leggere la lista ingredienti per non morire schifata), tofu condito (una sorta di ricotta di soia che si riesce a mangiare solo ben condita o sbriciolata in altre preparazioni) e seitan (impasto di puro glutine la cui consistenza ricorda quella della carne e con cui si possono fare arrosti e scaloppine veg).
Ovviamente hamburger, crocchette e polpettoni possono essere preparati in casa in modo sano (il mio preferito era in assoluto fagiolini e patate con la maggiorana), ma tra studio, lavoro, casa e un disabile non avevo tempo nemmeno per respirare e avevo bisogno di cibo che si preparasse in un attimo.
Per chi non lo sapesse, esistono anche gli affettati vegani e i formaggini vegani già pronti, il cui prezzo è semplicemente folle per poter pensare di acquistarli più di una volta al mese e la cui lista ingredienti, per quanto biologici siano, è comunque un alternarsi di soia, glutine e grasso di palma (biologico però).
Insomma, percepivo di non aver mai mangiato così male in tutta la mia vita ma ero ancora convinta di farlo per una giusta causa.

A mia madre vennero tolti legumi, alimenti integrali, alcune verdure e la frutta secca: le nostre alimentazioni iniziarono a diventare incompatibili e dover cucinare pasti differenti era diventata sistematicamente la quotidianità.
A quel punto ho iniziato a soffrire psicologicamente, non pensavo ad altro che al desiderio di mangiare quello che preparavo per lei, mi torturavo mentalmente sperando che la connessione con l’animale mi rendesse ributtante quello che per me era sempre stato cibo.
Arrivai al punto di trovarmi a saccheggiare di nascosto pezzettini di formaggio o carne in frigorifero, salvo poi sentirmi in colpa e piangere disperata. Tutto era stress, per evitare di desiderare nuovamente i cibi con cui ero cresciuta andavo a rivedere le scene strazianti delle macellazioni, provando profonda pena sia per quelle povere vittime sia per me stessa. Ero nervosa, aggressiva e affamata.

Come se ciò non bastasse, in società essere vegano ti rende automaticamente vittima predestinata di frecciate, vessazioni e bullismo da parte di esseri gretti e ignoranti che ti rovinano l’esistenza con metodica quotidianità, garantendoti una gogna pubblica che io, individuo socievole ma restia ad aprirmi al prossimo, subivo come vere e proprie violenze psicologiche.
A quel punto, quando stai male e devi combattere contro te stesso, contro il prossimo e contro 20 pasti settimanali di cui la metà ti causa ormai disgusto anche solo a pensarci, devi trovare soluzioni alternative di compromesso.

Sconsiglio caldamente di andare a parlare di compromessi a un qualsiasi vegano attivista in salute e felice della sua alimentazione: gli effetti collaterali sono insulti e ennesime vessazioni psicologiche.
Viviamo in una società nella quale ognuno si sente in diritto di dire al prossimo quello che deve fare e, all’occorrenza, anche di insultare: ecco, qualsiasi decisione prendiate nella vostra vita, TENETELA PER VOI.
Volete diventare vegani? Non rendetene partecipi i vostri compagni di università e tantomeno i vostri colleghi di lavoro se volete vivere tranquilli.
Volete strafogarvi di wurstel? Non c’è bisogno di sbandierarlo ai quattro venti.
Qualsiasi decisione prendiate ci sarà sempre qualcuno pronto ad affossarvi e a scaricare su di voi le sue frustrazioni.
Io qui posso raccontarvi la mia esperienza, sono nel mio spazio e qualsiasi commento non rispetti le basilari norme di educazione e di comunicazione civile verrà cestinato in moderazione, mentre qualora dovessi ricevere minacce o insulti mi riservo il diritto di agire legalmente. Warned.

Oggi peso 49-50 kg, sono in perfetta salute e mangio in modo incomparabilmente più sano rispetto al resto della mia vita, sia vegan che antecedente.
Non abuso più dei latticini e ho eliminato i salumi (entrambe le cose mi sono state consigliate dal medico agopuntore dell’ASL, che non smetterò mai di ringraziare per avermi fatto ritrovare la tranquillità), invece non mi pongo più problemi a utilizzare le uova, rigorosamente biologiche, ancor meglio se a km zero.
Per quanto riguarda la carne fresca, non amo l’idea di mangiare carne di cuccioli come capretti, maialini o agnelli, mentre ho reintrodotto modeste quantità di carne avicola (pollo e tacchino) e uso molto raramente carne bovina, quasi mai suina.
Per la mia salute ritengo sia importante sapere cosa hanno mangiato questi animali, come e dove sono vissuti ed è fondamentale che non provengano da allevamenti e macellazione intensiva, in quanto si tratta di produzione del tutto innaturale, disumana e fonte di cibo di pessima qualità (pieno di antibiotici e tossine).
Spendete un po’ di più e mangiatene meno.

Sento che questa è la dieta giusta per me: sono in forze, in salute, di buon umore e piena di energie. Su 21 pasti settimanali mangio carne solo 2-3 volte, contro le 8-10 dei tempi andati del liceo. A merenda mi sforzo di mangiare frutta fresca o secca.
Ho totalmente eliminato dalla mia alimentazione i grassi vegetali non meglio specificati, che di solito si rivelano essere disgustoso grasso di palma, pessimo per l’ecosistema, pericoloso per la salute e totalmente inutile dal punto di vista nutrizionale: se devo fare dei biscotti o della pasta sfoglia, uso un pezzetto di burro di qualità, l’importante è non abusarne. Una cosa che trovavo particolarmente fastidiosa nel frequentare alcuni gruppi vegan era il totale disinteresse verso la nostra salute, e il finire per essere tacciata di estremismo nel momento in cui mi opponevo alla promozione di alimenti confezionati contenenti grasso di palma.

Il fatto che io ora abbia ritrovato una salute nella quale ormai non speravo più, la dice lunga su quale sia la scelta migliore per ME e mi sento vicina sia a tutti coloro che per vergogna vorrebbero diventare vegani e non ci riescono per paura di scatenare ire in famiglia, sia e soprattutto a tutti coloro che vorrebbero abbandonare questa scelta ma hanno timore del giudizio aggressivo che l’abbandono della comunità veg comporta.
In entrambi i casi, fatevi forza e andate dritti silenziosamente per la vostra strada, dato che se le vostre scelte non sono dettate da motivi abietti o futili (moda, gola…) non avete motivo di sentirvi in colpa né di giustificarvi.

Sicuramente alcuni penseranno che in realtà è come se io non fossi mai stata vegan.
Sotto alcuni punti di vista potrebbero anche avere ragione:

  • non sono mai riuscita a far del tutto mia la campagna contro la ricerca medica per le malattie che fa uso di sperimentazione animale (ad esempio le donazioni AIRC sostengono questo tipo di ricerca). Il fatto che la stessa comunità scientifica sia divisa sull’utilità della sperimentazione animale mi fa capire che il discorso sia molto più ampio di quel che sembri e quindi, a meno che non si blocchi tutto (anche le cure dei malati) ritenendo sbagliata a prescindere questa pratica, ogni soluzione che preveda urlare insulti contro i ricercatori non può essere da me condivisa in modo razionale. Personalmente trovo che la sperimentazione animale sia odiosa e disgustosa, ma non potendo dare un contributo concreto allo sviluppo della medicina in altre direzioni mi sento davvero impotente e preferisco tacere piuttosto che parlare di cose che non conosco. Sarei ben felice di poter contare su un progresso scientifico cruelty free, ma nel frattempo non ho alcuna intenzione di rinunciare ad esempio all’anello anticoncezionale. Una scelta del genere creerebbe disagio a me e non riporterebbe in vita nessuno degli animali sacrificati ad esempio per il test LD50 (ogni nuova sostanza viene testata su cavie per stabilire qual è la dose letale per il 50% del campione, “letal dose 50”, normalmente questo valore nelle schede tecniche, che riguarda anche molti ingredienti cosmetici di vecchia data, è accompagnato da un riferimento alla specie animale utilizzata, per cui ad esempio MUS sono i topi). In realtà online ho anche assunto posizioni strettamente vegan in merito, ma più per il gusto di riuscire a sostenerle dialetticamente fino in fondo che credendoci davvero.
  • La cultura antispecista vorrebbe che tutti gli animali, uomo compreso, fossero riconosciuti come soggetti di pari diritti fondamentali, senza distinzione ulteriore alcuna. Tuttavia, se per mucche, conigli e maiali provare empatia è piuttosto semplice, mi trovo ad ammettere candidamente che per altri animali non provo alcun genere di pietà e non mi sento un mostro per questo: i serpenti non mi suscitano alcun tipo di empatia e non mi sentirei minimamente in colpa a mangiarli o a indossare accessori in pitone, così come vorrei che i pesciolini d’argento (il nome sembra carino ma sono disgustosi insetti domestici che si arrampicano ovunque) si estinguessero in questo preciso istante. Cattiveria? No, sincerità.
    Ovviamente chi va a dire queste cose a un vegano o su un forum veg è un troll che vuole provocare e buttarla in rissa verbale, mentre io ritengo che se ognuno capisse quando è il luogo e il tempo di tacere si potrebbe convivere pacificamente senza andare ad urtare per divertimento la sensibilità del prossimo.
    Mi è capitato tante volte di leggere messaggi di utenti che venivano su Vegan Home a raccontare, per esempio, di come avevano sterminato gli scarafaggi o altri insetti, cercando una sorta di approvazione e scaricando i sensi di colpa in “non avevo altra scelta”: pur sentendomi vicina a chi confessava queste cose pensavo che avrebbero potuto tenerlo per sè senza andare a raccontarlo a dei vegan.

Per altri aspetti invece, senza considerare tutte le cose fondamentali che ho imparato e che faranno parte per sempre del mio bagaglio culturale, la causa vegan mi ha fatto aprire gli occhi sulla realtà e continuerà a starmi a cuore, ad esempio nell’impegno contro le pellicce, contro zoo, acquari e circhi con animali, che andrebbero chiusi concludendo con questa generazione il novero degli animali selvatici in cattività. La loro sofferenza per il nostro divertimento è pura follia. Inoltre è importante continuare a diffondere le informazioni sulla necessità della sterilizzazione degli animali, fondamentale per arginare il crescente randagismo e il sovraffollamento dei ricoveri per animali abbandonati.
Infine, credo fermamente che sarebbe giusto tornare a un mondo più ecosostenibile e ad un’alimentazione più sana, che non sia inutilmente ingorda di sofferenza altrui.

Concludendo con un bilancio complessivo, la mia esperienza vegan è stata per me un momento di grande crescita personale.
Grazie a questi anni mi sono fatta un’ampissima cultura in tema di alimentazione, industria alimentare, nutrienti, inquinamento ed ecosostenibilità; inoltre il mio modo di mangiare è mutato radicalmente, nutro un rispetto profondo per ogni singolo alimento di cui mi nutro e non mi sognerei mai di sprecare nulla o di denigrare in qualsiasi modo ciò che mangio.
So che spendere qualcosa in più per prodotti artigianali e a km zero non è solo una scelta naif, ma vuol dire smettere di finanziare gli allevamenti intensivi e le macellazioni disumane, usando cibo di qualità altissima.
Ho ridotto al minimo indispensabile per la MIA salute e per il MIO benessere la sofferenza animale, senza che la mia esistenza sia sacrificata per altri e senza pretendere che gli animali vivano in toto per me, ma rimettendo me stessa al centro della mia vita, come è giusto che sia.

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Armocromia: la mia esperienza col test delle stagioni (autunno soft profondo).

Dorothy 🌸

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46 pensieri su “Perchè non sono più vegan: la mia esperienza

  1. Alessia says:

    Io penso che una persona non debba sentirsi in colpa nemmeno se torna ad essere onnivoro per una futile questione di gusto. Privarsi per sempre di qualcosa che ci piace è alla fine un motivo di forte stress e non tutti hanno la capacità di farlo per un fine idealistico ( la voglia di mangiare è uno stimolo molto potente da combattere). Io mi definisco animalista ma non riuscirei mai ad essere vegana, né tantomeno vegetariana, e mi sono messa l’anima in pace per questo

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