Sono stata a contatto col mondo vegan per un periodo di circa due anni e vorrei raccontarvi in questa rubrica un po’ speciale tutto ciò che ho imparato: cosa vuol dire essere vegana, cosa mangiano i vegani, come si vestono, che radici ha questa cultura. Ovviamente vi parlerò anche della mia esperienza.
Cio che scrivo non vuol essere nè di propaganda nè contrario allo stile di vita vegano, ma vorrei fornirvi tutte le indicazioni necessarie per conoscere senza pregiudizi un modo di vivere sempre più diffuso.
Perchè non sono più vegan: la mia esperienza.
Cosa significa vegano.
Partiamo dal presupposto che il centro dell’universo vegan è l’antispecismo. Secondo questa filosofia tutti gli animali sarebbero sullo stesso piano, in quanto esseri senzienti che provano ugualmente dolore, emozioni e sono consapevoli di esistere.
Ciò implica che l’uomo, proprio perchè il più intelligente, deve proteggere le altre specie e in nessun caso sfruttarle causando loro sofferenza, nemmeno per alimentarsi.
Questa visione sarebbe sostenuta da alcune caratteristiche anatomiche umane che rendono più adatta al nostro organismo una dieta povera di carne e di derivati animali (intestino molto lungo rispetto ai carnivori, difficoltà a mangiare carne se non debitamente lavorata, dentatura da frugivoro, intolleranza al lattosio che interessa la quasi totalità della popolazione adulta).
Cosa mangiano i vegani.
La dieta vegan più sana e più equilibrata prevede semplicemente cereali (pane, pasta, riso, farro, orzo, avena, grano, mais, miglio ecc…), legumi (piselli, fave, fagioli, lenticchie ecc), frutta secca in abbondanza, semi, tanta frutta fresca e verdura, grassi vegetali con predilezione per l’olio d’oliva.
Rispetto alla dieta vegetariana, che esclude solo la carne e il pesce rifiutando l’uccisione degli animali, l’alimentazione vegana rifiuta anche il consumo di latte e latticini, uova e miele.
Latte e latticini vengono esclusi in quanto per la produzione di latte le mucche vengono ingravidate appositamente senza che i loro vitelli possano in realtà usufruire del nutrimento spettante loro. Le razze bovine utilizzate per la produzione casearia sono diverse da quelle utilizzate per la carne, tuttavia per “non sprecare” i vitelli maschi, che non possono essere riutilizzati nell’industria lattiero casearia, questi vengono tenuti legati in piccoli spazi (in modo da non farne sviluppare la muscolatura) e nutriti con mangimi per qualche mese per poi essere venduti come carni bianche (per chi non lo sapesse, i vitelli da carne sono normalmente carne rossa).
In altre realtà, i cuccioli maschi vengono semplicemente lasciati morire perchè inutili, cosa che spesso accade per la produzione di latticini di bufala.
Le uova vengono escluse poichè la loro produzione comporta la detenzione delle galline in gabbie molto strette con conseguenti danni alle zampe e impossibilità di aprire le ali e di muoversi (uova con codice 3), allo stesso modo le condizioni delle galline ovaiole nella produzione a terra (codice 2) e all’aperto (codice 1) non rispettano le esigenze della fauna avicola, in quanto vengono comunque tenute in capannoni sovraffollati con pavimentazione in cemento e, nei casi in cui abbiano un accesso all’aperto, questo non è detto che sia un ampio terreno (spesso un terrazzamento molto piccolo).
Le motivazioni che portano i vegani a criticare anche il consumo di uova biologiche (codice 0, galline alimentate naturalmente senza OGM e con ampi spazi terrosi in cui muoversi e ruspare) è il fatto che si tratti comunque di sfruttamento e che comunque alla fine della produzione gli animali verranno uccisi.
Ritengo invece totalmente infondate e da smentire le dicerie per cui le galline soffrirebbero la sottrazione delle uova: la gallina abbandona l’uovo, sia fecondato che non, fino al momento in cui una di esse non “decida” di fare la chioccia. Questo accade anche in assenza di uova o con uova non fecondate: chi ha un pollaio sa che ad un certo punto c’è una gallina che si piantona nella paglia e diventa suscettibile. A quel punto la cosa migliore è raccogliere tutte le uova fecondate (se c’è un gallo lo sono quasi tutte) e dargliele con gentilezza, spostandola in un luogo tranquillo affinché possa covare in pace.
Inoltre, sono svariati i casi di attivisti che avendo salvato dagli allevamenti alcune galline, ne mangino le uova per non buttarle, garantendo tuttavia all’animale una vita serena e senza violenza.
Perchè i vegani non mangiano miele?
I prodotti derivati dall’apicoltura vengono visti come indebito sfruttamento delle api, alle quali viene sottratto cibo (il miele è una sorta di rigurgito che viene accumulato come scorta invernale), casa (la cera è ciò con cui vengono costruiti gli alveari), e nutrimento per i cuccioli (la pappa reale viene prelevata causando la morte delle larve).
Pensando al mondo estremamente inquinato in cui viviamo, mi sono sempre chiesta se le api, insetti fondamentali per la tenuta dell’ecosistema, riuscirebbero a sopravvivere senza gli apicoltori che se ne prendono cura, seppur sfruttandole economicamente ma comunque preservandole dal rischio decimazione che corrono.
Abbigliamento vegan.
I vegani non acquistano nulla che abbia componenti in lana, in seta, in pelle o imbottiture in vera piuma, tantomeno pellicce.
Mentre tutti hanno ben chiara l’inutile sofferenza che viene perpetrata ai danni di oche e visoni per la produzione di piumini e pellicce, in pochi sanno che per la produzione della seta, al fine di ottenere un filo perfettamente integro da ogni bozzolo, si uccide il baco prima che si trasformi in farfalla ed esca, tramite bollitura dei bozzoli.
L’unica seta prodotta nel rispetto della vita della farfalla è quella indiana, che infatti presenta minuscoli nodini serviti a riunire i fili, ed è particolarmente costosa e pregiata.
Allo stesso modo non tutti sanno che i metodi automatizzati di tosatura per la produzione della lana causano tagli e asportazioni di carne alle pecore, soprattutto per le qualità più pregiate.
La filosofia di vita vegana accetta invece che vengano utilizzati i capi d’abbigliamento non cruetly free già acquistati in passato, per evitare che divengano rifiuti e che nuovi acquisti non indispensabili sostengano inquinamento e consumismo.
Cosmetici vegan.
La cosmetica vegan è il cuore pulsante della cosmesi ecobio, la cui diffusione nasce in Italia con siti come Saicosatispalmi.
Pochissimi sanno che il biodizionario, da molti sfruttato per l’immediatezza della comunicazione in pallini verdi, gialli e rossi, ha un’impronta fortemente vegana, in quanto molte sostanze del tutto innocue per l’uomo e per l’ambiente vengono classificate come rosse “semplicemente” perché derivate da animali.
La cosa più importante per la cosmetica vegan (e in generale per tutti i prodotti domestici di uso quotidiano, detersivi compresi) è che sia non testata su animali, pratica vietata dall’Unione Europea per tutti i cosmetici dal 2013. In particolare si fa riferimento alle aziende con certificazione ICEA.
Tra i prodotti certificati vengono poi scelti quelli privi di derivati animali (latte e miele) e soprattutto ecobio, quindi privi di sostanze inquinanti.
È vero che la dieta vegana comporta gravi carenze?
Come in ogni cosa, dipende da come la si affronta. Si può essere vegani anche scofanandosi solo patatine fritte e pop corn dalla mattina alla sera… poco saggio.
L’unica carenza che una dieta vegana variegata e ricca comporta è quella di vitamina B12, fondamentale per evitare scompensi neurologici.
In natura la vitamina B12 si trova nel terreno e nella sporcizia dei vegetali, in quanto prodotta da batteri. Chi mangia carne e derivati la assume in via indiretta grazie all’alimentazione degli animali allevati, che nei casi più fortunati la ottengono dai pascoli e dalla natura, oppure più frequentemente dai mangimi, che vengono addizionati con B12 già alla produzione.
Purtroppo è impossibile, a causa dell’inquinamento e dei trattamenti chimici, tornare ad assumere B12 tramite la vegetazione, quindi chi abbraccia la scelta vegan, eliminando l’assimilazione indiretta, deve integrare questa vitamina con una compressa sublinguale alla settimana.
Ogni altro genere di carenza nella dieta vegana è determinato da patologie preesistenti (esempio anemia) o da un’alimentazione insufficiente.
Mangiando vegano si imparano un mucchio di trucchetti per accoppiare gli alimenti che meglio interagiscono, ad esempio per migliorare l’assimilazione del ferro dalle verdure e dai legumi (ferro di qualità meno assimilabile rispetto a quello delle carni) è bene accompagnarle con una buona fonte di vitamina C, come una spremuta d’arancio.
Animali e veganismo.
Dato che i vegani sono impegnati semplicemente nel nuocere il meno possibile alle altre specie e all’ecosistema, non uccidono (almeno non volontariamente) nemmeno gli insetti, servendosi piuttosto di propellenti naturali come infusi o foglie di piante sgradite agli ospiti.
Questo implica anche il tentativo di aiutare qualsiasi animale si trovi in difficoltà, fosse anche un’ape assetata o un uccellino caduto dal nido.
Ovviamente gli animali di razza e i relativi allevamenti dove se ne fa mercimonio sono fermamente condannati dalla cultura vegana, che indirizza piuttosto verso l’adozione gratuita di animali bisognosi nei canili e la rigorosa sterilizzazione degli animali domestici e non.
Un argomento particolarmente dibattutto sta nella sempre piú diffusa prassi di acquistare cibo vegano anche per i propri animali domestici, atteggiamento che suscita forte sdegno soprattutto quando si tratta di carnivori come i gatti.
Posto che anche le normali scatolette di carne per animali sono un’alimentazione per loro innaturale (in natura un gatto non mangerà mai nè mucca, nè manzo, nè pesce, se non sarà un umano a fornirglielo), si dimentica sempre che non si tratta di alimentazione fai da te, ma di cibo preparato da veterinari esperti e addizionato con tutte le sostanze di cui l’animale ha bisogno.
Lo stesso trattamento viene fatto anche alle scatole di carne, per la cui produzione vengono spesso utilizzati scarti privi di particolare valore nutrizionale.
Infine, moltissimi proprietari avranno già acquistato inconsapevolmente cibo vegetale per i propri animali (è venduto nei migliori negozi per animali, non allo spaccio del mercato nero) senza che la salute di Fido o Miao ne abbiano assolutamente sofferto.
Nel prossimo articolo vi racconterò invece la mia personale esperienza con il mondo vegano, cosa ho imparato, cosa non mi è piaciuto e soprattutto:
Perchè non sono più vegan: la mia esperienza.
Vi ricordo che i commenti sono moderati, quindi qualsiasi contributo volgare, maleducato, provocatorio o delirante verrà semplicemente cestinato prima ancora che qualcuno lo possa leggere.
Dorothy 🌸
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Io sono disperata perche’ ho trovato lavoro come rappresentante in un azienda dolciaria di alta qualita’ li ho contattatoe.mi dicono che hanno solo una decina di prodotti vegani su 500 prodotti. Sono terrorizzata che usano uova e latte da allevamenti intensi e questi animali che soffrono . io vorrei proprio lavorare con loro ma loro stessi mi hanno detto chece’ difficile capire sempre da dove vengono uova e latte.tu cosa ne pensi?
Ciao Roberta,
Se la cosa ti disturba particolarmente credo che le alternative siano poche: o inventi qualcosa di tuo, un’impresa legata al target vegan in un ramo che ti compete e ti piace, oppure se hai necessità di lavorare come dipendente puoi cercare occupazione nelle varie aziende ed esercizi commerciali che non operino in settori in cui si fa uso di derivati animali, sono sicura che se sei disposta a spostarti qualcosa si trova.
Visto il panorama italiano, tanti auguri in tutti i casi; personalmente capisco benissimo che per poter portare il pane in tavola a volte qualcosa può non essere al 100% come ci piace, per cui qualora non avessi alternative al restare in quest’azienda non fartene un dramma e non colpevolizzarti troppo.
Buona giornata, a presto,
Dorothy