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I cosmetici cruelty free NON esistono

Quando sulla confezione di un cosmetico leggiamo la scritta cruelty free (“senza crudeltà” in inglese) significa che, in teoria, quel prodotto non è stato testato su animali. Di solito è accompagnata dall’effige di un coniglietto variamente stilizzato.
In realtà, i cosmetici totalmente cruelty free non esistono (o sono rarissimi).

L’idea di scrivere questo articolo, che ha un taglio fortemente giuridico, nasce mentre sto navigando tra i cosmetici più venduti del momento e le tante novità che devo selezionare e testare, sia per il piano editoriale di questo blog, sia per le consulenze ai miei clienti.
Noto che, per alcuni marchi, il logo “cruelty free” è diventato un banale simbolo pubblicitario, da esibire senza criterio, per vendere più prodotti.

Nel frattempo la mia gatta si rotola sugli appunti accanto a me, aumentando le fonti di calore a cui sono esposta e, per proporzionalità inversa, diminuendo la mia pazienza verso le pubblicità senza senso, talvolta palesemente ingannevoli, forse partorite da uffici marketing che non hanno mai studiato mezza normativa. Tanto nessuno controlla.

Vediamo dunque come funzionano i test su animali per quanto riguarda i prodotti cosmetici.

Perché i cosmetici sono testati sugli animali?

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Tutto ha inizio sul finire degli anni 30 del Novecento negli Stati Uniti d’America, quando il crescente utilizzo di nuovi farmaci e cosmetici impone l’introduzione di alcuni test di sicurezza quale requisito legale per la distribuzione di tali prodotti.

La gravità della situazione è tale che nel 1937 muoiono ben 105 pazienti, a seguito della somministrazione ospedaliera dell’Elixir Sulfanilamide, un farmaco in cui era stato utilizzato come diluente il diethylene glycol.1
Nel 1938 gli Stati Uniti adottano il Food, Drug and Cosmetic Act, una legge che obbliga le aziende a testare la tossicità dei propri prodotti, soprattutto quando questi introducono nuove sostanze chimiche sul mercato. Questi test vengono inevitabilmente condotti su animali.

Il diethylene glycol, l’infausto ingrediente dell’elisir mortale, è una sostanza ancora oggi largamente impiegata come solvente, sia nei cosmetici sia in altri settori dell’industria chimica; tuttavia, siamo in grado di utilizzarlo in modo sicuro, conoscendone bene rischi e caratteristiche, anche grazie ai test condotti in passato.

Molti Paesi seguono quindi l’esempio degli USA, fino a che i cosmetici testati su animali diventano la normalità.
Sono anni di rapido progresso, in cui l’industria chimica crea o scopre migliaia di nuove sostanze, potenzialmente utilissime, ma forse tossiche o addirittura letali, che ovviamente devono essere testate.
La sperimentazione animale diventa la strada più ovvia con cui effettuare ogni accertamento a tutela della salute umana e della sicurezza ambientale.

Diverse generazioni vivono ignare del costo di tanto progresso, d’altronde, nel Novecento, le informazioni circolano con una lentezza a cui oggi non siamo più abituati e le famiglie devono affrontare problemi generalmente ritenuti più gravi rispetto alla tutela degli animali.

Tuttavia, già a partire dagli anni 50, la sensibilità verso la sofferenza animale trova voce crescente, sia nella comunità scientifica e successivamente nella società civile; le persone, grazie al benessere portato dalla crescita economica, iniziano a preoccuparsi anche dei più indifesi, spingendo verso l’introduzione di alternative all’uso degli animali in laboratorio, alternative rese possibili dal progresso biotecnologico.

test animali e cosmetici: come funziona la legge in europa

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Ancora oggi, Humane Society International stima che nel mondo, per tutti gli esperimenti di laboratorio condotti ogni anno, soprattutto dall’industria chimica e farmaceutica, vengano utilizzati non meno di 115 milioni (115.000.000) di animali2, di cui mezzo milione sono destinati ai test per i cosmetici3.
Si tratta dello 0,43%, che è poco sulla cifra totale, ma sono comunque 500.000 animali sacrificati per l’avidità di profitto dell’industria della cosmesi, che propone costantemente nuove marche e nuovi prodotti di cui non si sentiva il bisogno (soprattutto quando si tratta dell’ennesima celebrità che mette la propria firma su una nuova linea, magari senza conoscere la differenza tra una molecola e un atomo).

Rispetto al resto del mondo, l’Unione Europea è all’avanguardia per quanto concerne limitazioni e divieti alla sperimentazione dei cosmetici sugli animali.

Infatti, dal 2004 è in vigore il divieto di testare su animali i cosmetici finiti, cioè i prodotti (es. creme, shampoo, mascara, rossetti, ecc..) già formulati, nella loro versione definitiva.
Con il successivo Regolamento europeo sui prodotti cosmetici4, emanato nel 2009 ed entrato in vigore nel 2013, la normativa ha progressivamente esteso questo divieto ai test sui singoli ingredienti cosmetici e ha introdotto il divieto di vendere in UE cosmetici già testati su animali o che contengano anche solo un ingrediente testato su animali, anche qualora i test siano stati condotti in Paesi extra-europei dove tale sperimentazione sia ancora ammessa.

Con una normativa del genere, l’impressione del consumatore è che in Europa si possano acquistare solo ed esclusivamente cosmetici cruelty free, prodotti dalla prima all’ultima goccia senza sofferenza animale. Ovviamente non è così.

Basta scavare un po’ più a fondo, per scoprire che l’articolo 18 dello stesso Regolamento prevede delle eccezioni.
È infatti permesso testare su animali un ingrediente cosmetico se, alternativamente:

  • tale ingrediente inizia ad essere sospettato di essere rischioso per la salute umana, e richiede pertanto ulteriori valutazioni.
    Si tratta di accertamenti approfonditi, a cui negli anni sono stati sottoposti, ad esempio, certi parabeni e alcuni filtri solari.
  • tale ingrediente deve essere testato in virtù dei suoi utilizzi non cosmetici; si tratta cioè di una sostanza di largo utilizzo, che viene impiegata anche in ambiti diversi dalla cosmesi.

Non solo. Sempre all’articolo 18 del Regolamento sui cosmetici c’è una frasetta, ripetuta più volte, che sfugge alla maggior parte di coloro che non hanno una formazione legale: “è vietata la realizzazione, all’interno della Comunità, di sperimentazioni animali […] allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento“.

Tradotto dal legalese, significa che la sperimentazione animale dei cosmetici (in particolare dei singoli ingredienti) è vietata quando serve solo a soddisfare i requisiti di sicurezza richiesti dal Regolamento sui prodotti cosmetici, ma NON è vietata quando si tratta di un requisito richiesto da altre norme per motivi differenti.

Bisogna infatti ricordare che gli ingredienti cosmetici sono sostanze chimiche (tutti, compresi gli estratti di piante e i distillati di fiori biologici).
In quanto sostanze chimiche, è normale che la maggior parte di queste trovino impiego anche (e spesso principalmente) in altri settori industriali, a cui si applicano norme diverse dal regolamento sui cosmetici.
Questi ingredienti di largo utilizzo, che sono la maggioranza, sono praticamente SEMPRE testati su animali.

I test su questi ingredienti di largo utilizzo vengono effettuati in conformità al Regolamento europeo REACH 5, che norma la registrazione, valutazione e autorizzazione delle sostanze chimiche (l’acronimo viene dall’inglese Registration, Evaluation, and Authorisation of Chemicals).
Il REACH si applica a tutte le sostanze chimiche prodotte in Unione Europea o importate dall’estero, per quantitativi superiori alla tonnellata per anno, e richiede che tali sostanze siano accompagnate dai dati relativi alla loro sicurezza.
Per ottenere alcuni di questi dati, le sostanze chimiche devono essere testate (anche) su animali.

Esiste quindi una grossa sovrapposizione tra il Regolamento sui cosmetici e il Regolamento REACH, perché entrambi dispongono delle regole, in direzioni apparentemente opposte, per le medesime sostanze utilizzate come ingredienti cosmetici.
Poiché le sperimentazioni richieste dal REACH sono requisiti a tutela dei lavoratori, dell’ambiente e della salute pubblica, è difficile dare una valutazione totalmente negativa a questo pasticcio normativo.

Non resta che una sola domanda: possiamo almeno considerare cruelty free le sostanze chimiche utilizzate esclusivamente come ingredienti cosmetici? Scopriamolo.

quali INGREDIENTI COSMETICI SONO CRUELTY FREE?

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L’Unione Europea è consapevole della sovrapposizione normativa tra il Regolamento sui cosmetici e quello sulle sostanze chimiche (REACH), al punto che già nel 2014 l’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) divulga una scheda informativa sui punti di interfaccia tra i due regolamenti.6

Da questo documento emerge un quadro sconfortante anche  per quanto riguarda le (pochissime) sostanze chimiche utilizzate esclusivamente come ingredienti cosmetici: per tali sostanze sono comunque concessi i test su animali ai fini della valutazione del rischio ambientale, come richiesto dal REACH.
L’unica differenza rispetto agli ingredienti di largo utilizzo riguarda il requisito di valutazione del rischio per la salute dei lavoratori, per il quale è possibile rinunciare ai test su animali solo se, alternativamente:

  • l’ingrediente cosmetico viene importato in Europa all’interno di un prodotto cosmetico finito, prodotto in un Paese extra EU, pertanto la sostanza non viene ulteriormente maneggiata dai lavoratori europei;
  • l’ingrediente cosmetico viene maneggiato in condizioni strettamente controllate (es. automatizzate), per cui l’esposizione dei lavoratori può essere esclusa.

NON sono comunque previsti test per la valutazione del rischio derivante dall’uso del cosmetico finito da parte dei consumatori finali e dei professionisti (es. parrucchieri ed estetiste), in quanto queste valutazioni non sono un requisito richiesto dal REACH e ricadono quindi sotto il divieto di test su animali imposto dal Regolamento sui prodotti cosmetici.

In definitiva, anche le sostanze utilizzate esclusivamente come ingredienti cosmetici sono molto spesso testate su animali e, pertanto, non si possono definire cruelty free.

Uno spiraglio di luce per il futuro ci arriva proprio dall’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA), che continua a promuovere l’utilizzo di metodi alternativi alla sperimentazione sugli animali per soddisfare i requisiti richiesti dal REACH.
Nel 2016 ha addirittura pubblicato una guida7 destinata ai produttori e agli importatori di sostanze chimiche, per spingere all’uso di alternative ai test sugli animali.

Da tale documento traspare un impegno concreto: solo per fare un esempio, le aziende sono spinte a raccogliere e condividere informazioni sulle sostanze chimiche, per evitare test duplicati. Al contempo, l’ECHA pubblica ogni informazione sulle sostanze chimiche che sia utile ai ricercatori e si impegna a finanziare lo sviluppo di strumenti per l’elaborazione computerizzata dei dati sulle sostanze chimiche. Inoltre, coopera con le autorità di tutto il mondo nello scambio di dati per avanzare nello sviluppo di altri metodi alternativi.

Attualmente, i metodi alternativi ai test su animali sono ancora limitati e non sempre prevedono la completa sostituzione degli animali impiegati nei test: il REACH ritiene soddisfacenti anche metodi che prevedano la sostituzione, la riduzione o il miglioramento (in inglese note come 3R, “Replace, Reduce, Refine”) degli attuali criteri di sperimentazione.

Basta quindi la riduzione del numero di animali coinvolti o il miglioramento delle loro condizioni di vita, per esempio attraverso pratiche meno invasive o più brevi, per poter ottenere l’approvazione di un metodo alternativo.
Quando invece la sperimentazione animale viene completamente abbandonata, si parla di metodi sostitutivi.

Per questo è di vitale importanza riuscire ad evitare nuovi test sfruttando le informazioni già ottenute attraverso le sperimentazioni precedenti.

La situazione resta ccomunque grave rispetto a quanto percepito dai consumatori, al punto che PETA, organizzazione no-profit a sostegno dei diritti animali, definisce il Regolamento REACH “il più grande programma di sperimentazione animale al mondo“. 8

Eppure, secondo l’organizzazione Understanding Animal Research, la maggior parte delle richieste di condurre test su animali (ai fini della registrazione REACH) scaturisce dalla volontà di questa o quell’azienda produttrice di cosmetici di inserire nei propri prodotti una nuova sostanza chimica con un profilo di sicurezza completamente sconosciuto.9

Basta guardarci intorno: ogni anno (o forse ogni mese) sugli scaffali delle profumerie spuntano cosmetici che pubblicizzano nuovi ingredienti dalle incredibili funzionalità. Questi sono i cosmetici meno cruelty free che possiamo scegliere.
La realtà è che le aziende cosmetiche, quando acquistano ingredienti innovativi da utilizzare nei propri prodotti, accettano l’eventualità che tali sostanze siano, ad un certo punto della filiera, testate su animali, anche se loro non sono direttamente coinvolte in questi test perché il fornitore si è già occupato del rispetto dei requisiti del REACH.
Se poi un nuovo ingrediente cosmetico viene creato nel laboratoro interno all’azienda, questa è direttamente responsabile della sperimentazione della nuova sostanza.

Nel 2020, alcuni colossi della cosmesi occidentale (Procter & Gamble, Unilever, L’Oréal e Avon) hanno firmato una comunicazione congiunta contro l’attuale metodo di applicazione del già citato regolamento europeo REACH.
L’accusa rivolta all’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche e alla sua Commissione di Ricorso è quella di demolire il divieto di sperimentazione animale sui cosmetici (previsto dal rispettivo regolamento) attraverso richieste, sistematiche e non necessarie, di dati ottenibili solo con nuovi test su animali.10

Nel frattempo, però, queste aziende, che accusano l’Europa di fare troppa sperimentazione animale, vendono i loro prodotti in Cina e accettano di condurre test animali sui propri cosmetici per poter accedere al mercato cinese, ancor più nel 2020 quando tutti i prodotti che entravano in Cina dovevano essere obbligatoriamente testati.
Perdonatemi, quindi, se sospetto che la loro protesta contro la normativa europea non sia dettata da amore per gli animali, quanto, forse, dall’interesse a ridurre i costi che la sperimentazione comporta quando si introducono sempre nuovi ingredienti sul mercato europeo.

COSMETICI CRUELTY FREE NEL MONDO: Cina e Stati Uniti

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Quando si parla di cosmetici e test sugli animali, il primo Paese che viene citato è sempre la Cina: le aziende che esportano i propri prodotti nella Terra del Dragone sono infatti sistematicamente boicottate dalla community anti-sperimentazione animale.
La Cina, fino al 2020, richiedeva che tutti i cosmetici importati fossero testati su animali.
Questo significa che se un’azienda europea voleva esportare in Cina i propri prodotti, doveva pagare di tasca propria i test di laboratorio (condotti su animali) per accertarne la sicurezza, come richiesto dalla Repubblica Popolare Cinese quale condizione per poter accedere al proprio mercato.
Moltissimi produttori di cosmetici hanno accettato di sottostare a questa normativa, pur di accedere al mercato cinese. Mercato che, vale la pena ricordarlo, ammonta a quasi un miliardo e mezzo di consumatori (tre volte la popolazione dell’Unione Europea in un solo Stato).

Stiamo parlando di aziende enormi, del calibro di L’Oréal, Nivea ed Estée Lauder, diversi brand di make-up (come MAC, Benefit, Revlon), marchi di lusso (ad esempio Dior, Dolce&Gabbana e Givenchy), e anche alcuni insospettabili, tipo L’Occitane e Caudalie, che hanno sempre proposto una narrativa di facciata abbastanza “green”. 11

Secondo Humane Society International, questi esperimenti hanno sacrificato ogni anno, durante la scorsa decade, un minimo di 50.000 fino ad oltre 120.000 conigli, tipicamente utilizzati per i test d’irritazione oculare e cutanea. 12

Nel frattempo, la Cina ha fatto un grosso passo avanti: grazie ad una nuova legge del Consiglio di Stato cinese, entrata in vigore il nel 2021, i prodotti importati non sono più soggetti ai test animali prima del lancio sul mercato cinese, purchè rientrino nella categoria dei cosmetici “ordinari.
La stessa regola si applica ai cosmetici “ordinari” prodotti all’interno della Cina, per i quali non è richiesto alcun test su animali già dal 2014.
La categoria dei cosmetici “ordinari” esclude, ad esempio, protezioni solari, prodotti per bambini, tinte e permanenti per capelli, formule anti-caduta e altri prodotti funzionali che sono considerati cosmetici “speciali“, i quali restano soggetti ai test su animali prima dell’immissione sul mercato cinese.

In termini di animali risparmiati, il miglioramento è enorme. Tuttavia, le aziende che vogliono vendere in Cina cosmetici di categoria “speciale” (come una qualsiasi protezione solare) devono ancora finanziare e condurre test sugli animali, quindi non sono considerate cruelty free.
Inoltre, tutti i cosmetici possono essere richiamati in qualsiasi momento per accertamenti, qualora segnalati per problemi durante l’uso, quindi anche le aziende che esportano in Cina solo cosmetici “ordinari” sono ancora considerate a rischio (per quanto remoto).

La differenza rispetto a quanto viene fatto in Unione Europea è che in Cina si testa ancora il prodotto finito, cioè proprio il cosmetico, cosa che da noi è completamente vietata dal 2004 senza eccezioni.
Tuttavia, in UE si continua a testare la maggior parte degli ingredienti cosmetici, per cui trovo un certo grado di ipocrisia nello stigma rivolto alla Cina.

Il quadro cambia drasticamente se guardiamo agli Stati Uniti d’America.

L’impronta politica liberale è evidente:  la Food and Drug Administration (FDA) richiede che i cosmetici venduti negli USA siano sicuri, ma lascia libere le aziende di dimostrare la sicurezza dei propri prodotti (e dei loro ingredienti) con qualsiasi test ritengano appropriato ed efficace, senza imporre alcun obbligo di sperimentazione animale. 13
Fatte le propie valutazioni, alcuni produttori decidono comunque di testare i propri cosmetici su animali, altri no.
Visto che la scelta viene delegata alle aziende, negli Stati Uniti si possono trovare prodotti completamente cruelty free, a rischio e pericolo del consumatore, considerato che oltreoceano sono ancora ammessi centinaia di ingredienti cosmetici vietati nell’Unione Europa.
Buona fortuna.

COME SCEGLIERE I COSMETICI CRUELTY FREE

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I cosmetici che hanno più probabilità di essere cruelty free, o almeno fregiarsi del minimo ricorso possibile ai test sugli animali, sono i prodotti che utilizzano SOLO ingredienti già conosciuti e utilizzati da tempo, di cui si conoscono bene i dati scientifici di sicurezza e rischio, per i quali non sono necessari nuovi test.

In Europa, quando esiste già uno storico di informazioni che permette di avere dati soddisfacenti sulla sicurezza di una certa sostanza chimica, non sono richiesti nuovi test per ottenere la conformità ai requisiti imposti dal REACH.
Certo, stiamo parlando di ingredienti cosmetici probabilmente testati su animali in passato, ma possiamo almeno consolarci nel non provocare ulteriore sofferenza.

Queste sostanze sono spesso anche le più sicure ed efficaci. Tra loro spiccano non solo gli estratti vegetali della nostra tradizione erboristica, ma anche singole molecole di comprovata efficacia, come la vitamina C e i retinoidi, di cui non è necessario cercare fantasiose alternative.
I prodotti cosmetici così formulati sono anche gli unici a poter, eventualmente, sfoggiare il marchio “cruelty free” o scritte analoghe.
Invece, chi produce cosmetici utilizzando ingredienti che, ad un certo punto della filiera, sono stati testati su animali (magari perché richiesto del REACH, quindi in modo legale), NON può apporre il marchio “cruelty free, altrimenti commette un illecito.

La questione è stata sollevata davanti al Mediatore Europeo nel 2016, nell’ambito di una causa molto più ampia.
Nel corso dell’indagine, la Commissione Europea e l’Agenzia Europea per le sostanze chimiche hanno espresso il proprio parere: un cosmetico NON deve essere etichettato come ‘cruelty free (o diciture analoghe) se contiene anche solo una sostanza che è stata testata su animali per qualsiasi motivo 14, quindi anche per conformità ai requisiti del REACH.

D’altronde, anche l’articolo 20, paragrafo 3 del Regolamento sui prodotti cosmetici, afferma che le aziende possono “indicare sulla confezione […] del prodotto cosmetico che quest’ultimo è stato sviluppato senza fare ricorso alla sperimentazione animale, solo a condizione che il fabbricante e i suoi fornitori non abbiano effettuato o commissionato sperimentazioni animali sul prodotto cosmetico finito, sul suo prototipo, né su alcun suo ingrediente e che non abbiano usato ingredienti sottoposti da terzi a sperimentazioni animali al fine di ottenere nuovi prodotti cosmetici.

Insomma, per potersi dichiarare “cruelty free“, i brand devono rispettare standard molto più restrittivi rispetto a quanto concesso dalla legge, rinunciando ad utilizzare qualsiasi sostanza sia stata, pur legalmente, sottoposta a test animali.

Tutto bello, finché nelle aziende non arrivano gli esperti (sic) di compliance legale, che a mio avviso trattano l’argomento con una superficialità ingiustificata. 15-16
Secondo costoro, non si può pubblicizzare alcun cosmetico europeo come “cruelty free.
E non perché si tratta di una menzogna al consumatore, ma perché ogni cosmetico europeo sarebbe già cruelty free quale esito della normativa che vieta la sperimentazione animale sui cosmetici e sui loro ingredienti.
Insomma, essere “cruelty free” sarebbe un requisito di legge e, come tale, non può essere pubblicizzato, perché caratteristica obbligatoria e comune a tutti i prodotti.
Eppure, abbiamo visto quante eccezioni esistono al divieto di test animali: arrivare ad affermare che tutti i cosmetici in Europa sono cruelty free per legge, mi pare un’enorme stro**ata inesattezza, a voler essere gentili.
Si può immaginare la confusione che regna nelle aziende di produzione cosmetica.

La mia opinione è che l’utilizzo del marchio “cruelty free” debba invece essere incentivato per i marchi che si impegnano ad evitare qualsiasi test animale lungo tutta la catena produttiva, a partire dai loro fornitori di materie prime; al contempo, vanno multate le aziende che usano in modo illecito queste diciture.

Purtroppo, ad oggi è praticamente impossibile distinguere i veri prodotti cruelty free da quelli che fanno finta di esserlo. L’attuale situazione, che definirei anarchia pubblicitaria, penalizza proprio le aziende che producono cosmetici rinunciando agli ingredienti sottoposti a test su animali.

L’unico strumento affidabile attualmente nelle mani del consumatore è questa lista di aziende cruelty free, redatta e aggiornata da PETA.
In tale documento vengono elecati i marchi cosmetici che hanno firmato una dichiarazione legalmente vincolante, con cui assicurano di non far ricorso alla sperimentazione animale in nessuna fase di produzione del cosmetico, dimostrando la propria posizione con la relativa documentazione.
Tuttavia, Peta considera cruelty free anche i cosmetici contenenti ingredienti di origine animale, purchè non siano stati testati. Una scelta che trovo discutibile.
Le aziende vegane sono tuttavia riconoscibili, perché contrassegnate da una lettera V colorata di verde.
Attenzione però: i marchi cruelty free hanno il pregio di essere etici, ma la qualità e l’efficacia dei loro prodotti è tutta da verificare, caso per caso.

Grazie per aver letto fin qui!
Dorothy Danielle

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Fonti e note:
1. Paul M. Wax MD, Elixirs, Diluents, and the Passage of the 1938 Federal Food, Drug and Cosmetic Act, in Annals of Internal Medicine, Volume 122, Number 6, 15 March 1995.
2. Humane Society International / Global, nd, About Animal Testing, visualizzato il 26 agosto 2023 –  link 
3. Humane Society International / Australia, nd, Animals in Cosmetics Testing, visualizzato il 26 agosto 2023 – link
4. Regolamento CE n. 1223/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009 sui prodotti cosmetici, in Gazz. Uff. UE L 342 del 22.12.2009, p. 59–209 – link alla versione aggiornata.
5. Regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un’Agenzia europea per le sostanze chimiche, GU L 396 del 30.12.2006, pagg. 1–850 – link alla versione aggiornata al 6 agosto 2023
6. European Chemical Agency, 2014, Interface between REACH and Cosmetics regulations – pdf
7. European Chemical Agency, 2016, Practical guide. How to use alternatives to animal testing to fulfil your information requirements for REACH registration link
8. Peta UK, n.d., REACH: the Largest Animal-Testing Programme in the World, visualizzato il 29 settembre 2023 – link
9
Understanding Animal Research, nd, Possible exceptions to the EU ban, in Cosmetic testing, visualizzato il 26 agosto 2023 – link
10. Kacey Culliney, 2020, Beauty majors sign joint statement claiming EU animal testing ban is ‘being undermined’ by ECHA, in Cosmetics Design Europe, visualizzato il 29 settembre 2023 – link
11. cfr. Peta, Companies That Do Test on Animals, visualizzato il 29 settembre 2023 – pdf
12. Humane Society International / Global, 2020, China appears on track to end animal testing for imported ‘ordinary’ cosmetics, visualizzato il 27 agosto 2023 –  link 
13. FDA, 2022, Animal Testing & Cosmetics, visualizzato il 29 settembre 2023 – link
14. Decisione del mediatore europeo nel caso 1130/2016/JAS, riguardante la dichiarazione congiunta resa dalla Commissione europea e dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche sulla conduzione di sperimentazioni sugli animali per sostanze usate nei cosmetici, paragrafo 47 – link
15. cfr. Personal Care Regulatory, n.d., Is “Cruelty free claim” Allowed in the EU?!, visualizzato il 29 settembre 2023 – link
16. cfr. COSlaw, 2022, What is the EU ban on animal testing?, visualizzato il 29 settembre 2023 – link

16 pensieri su “I cosmetici cruelty free NON esistono

  1. Luce says:

    Mi associo alle altre utenti felici di rileggerti, trovare contenuti di qualità in italiano sul tema della cosmesi è ormai rarissimo.

  2. Francesca says:

    Ciao Dorothy, è un piacere vedere che hai ripreso a scrivere sul blog, anche io torno spesso a spulciare i tuoi vecchi articoli. Complimenti per l’articolo che è molto ben fatto, io ammetto di essere tra le “scoraggiate” che ha rinunciato a capirci qualcosa tra i vari regolamenti e quindi non baso più la scelta dei cosmetici sui loghi ecocert, cruelty free e compagnia cantante, per quanto se ci fossero più garanzie contro i giochini del marketing sarei felice di acquistare prodotti più etici e sostenibili sotto ogni punto di vista.
    Spero che tornerai a fare nuove recensioni anche su prodotti per budget medio/basso visto quanto si è ampliato il settore negli ultimi anni, ma in ogni caso leggerò sempre con piacere!

  3. Marcella says:

    Ciao Dorothy, che piacere rivederti sul tuo blog! Sono veramente felice che tu sia tornata: quante volte ho gironzolato qui, sperando in una tua ripresa. Comunque mi sono riletta tanti tuoi articoli meno recenti, ma sempre istruttivi.
    Sapevo qualcosa del cruelty free: avevo letto che spesso le materie prime non lo sono ma poi per qualche arcano motivo il prodotto finale lo è.
    Leggere il tuo articolo, meravigliosamente completo, è stato illuminante! Ho capito tante sottigliezze che prima non percepivo e grazie agli innumerevoli articoli che citi, ho scoperto che le leggi…sono fatte , oltre che ad personam, anche ad prodottum (che non so se esista in latino).
    Leggerti è sempre un grande piacere!
    P. S. Hai ripreso le consulenze?

    • Dorothy says:

      Ciao Marcella! Il piacere di ritrovarti è tutto mio!
      Grazie per l’apprezzamento che mi rivolgi, significa tantissimo per me.
      Quest’articolo è stato davvero complicato da scrivere, ma volevo un riferimento completo su cui poter tornare io stessa al bisogno.
      Spero col tempo di poter pubblicare tutti i miei appunti e approfondimenti nello stesso modo!
      Le leggi sono in effetti come le descrivi: è come se si moltiplicassero per il numero di variazioni della realtà a cui vanno applicate.
      Quanto alle consulenze online, conto di riprendere nelle prossime settimane, appena finisco di aggiornare i miei materiali: arriverà una newsletter appena sono pronta!
      A presto!
      Dorothy

  4. Alessia says:

    Per fortuna non sono la sola ad apprezzare dei contenuti di qualità!
    Ho appena finito un corso di web content manager e sono demoralizzata da come ci si orienti su tutt’altro obiettivo per catturare utenti con soglia d’attenzione pari a quella di un pesce rosso.
    Ho sempre pensato anch’io che il cruelty free non fosse tutto così semplice come ce lo facevano apparire, bisogna approfondire e non fermarsi alla superficie delle cose, accontentandosi degli slogan che tanto piacciono agli uffici marketing.
    Da allergica al nichel da anni mi scontro con l’erronea convinzione che esistano cosmetici nichel free e che tutti i cosmetici europei siano nichel free perchè per legge non si usa il nichel negli ingredienti.
    Sono felice di leggerti ancora e grazie del tempo che ci dedichi.

    • Dorothy says:

      Ciao Alessia, grazie per il tuo apprezzamento!
      Purtroppo i contenuti web hanno subito un grosso declino negli anni, probabilmente per esigenze di monetizzazione, ma non nascondo che mi mancano i vecchi siti di gente che aveva qualcosa da condividere ed insegnare, così come i forum pensati per condividere informazioni.
      L’allergia al nichel è una brutta bestia e hai centrato il punto: il problema non è il nickel come ingrediente, che non si usa, ma le fonti di nickel, tipo i macchinari di produzione e i pigmenti (solitamente ossidi metallici), soprattutto per quanto riguarda il make-up.
      In ambito skincare è un pochino più facile trovare qualcosa o, meglio, ci sono meno probabilità di trovare contaminazioni importanti, ma le aziende che testano i prodotti per il nickel sono ancora troppo poche (penso ad Helan che testa sei metalli pesanti).

  5. Monica says:

    Semplicemente per dirti che sono felice del tuo voler procedere “in direzione ostinata e contraria”. La lettura dei tuoi articoli, cosi ricchi e completi, è davvero una boccata d’aria fresca.

    • Dorothy says:

      Ciao Monica,
      è bello sapere di non essere sola a voler leggere (e scrivere ) contenuti con un po’ di sostanza.
      Grazie mille ❤

  6. Claudia Norese says:

    Sempre più convinta che la FDA sia uno scherzo triste, se ne impippano letteralmente del cliente Americano, basta vedere il caso Ozycontin (Ossicotone) e i dosaggi che hanno permesso (160 Mag quando in Europa il dosaggio massimo previsto era 10MG!!!) . Io ho 2 gatti ed un cane, quindi preferirei acquistare tutto Cruelty Free, ma non ad occhio chiuso, ci deve essere scrupolo e rigorosità nei test scientifici ALTERNATIVI a quelli animali, altrimenti arriviamo che per salvare un coniglio ammazziamo gli uomini.

    • Dorothy says:

      Ciao Claudia,
      il tuo riassunto è perfetto per descrivere la direzione in cui vanno alcune aziende americane, ma l’FDA è colpevolmente sileziosa su molte questioni, in tutti i suoi ambiti di competenza. Basti pensare che la loro legge sui cosmetici è, alla base, ancora quella del 1938 citata all’inizio di questo articolo, con qualche aggiornamento.
      Gli USA hanno sempre avuto una sorta di repellenza verso le leggi restrittive, cosa che li ha portati ad essere i più innovativi, ma anche a dover affrontare, impreparati, dei disastri enormi sulla pelle delle persone.
      In definitiva, comprerei i loro cosmetici solo se importati regolarmente in Unione Europea: a quel punto le formule devono rispettare le nostre restrizioni. Tuttavia, i loro prodotti sono talmente fuori norma per noi che i marchi più importanti solitamente hanno la doppia linea, cioè prodotti diversi per i due continenti.

      • Liliana says:

        Salve Dorothy e bentornata. Grazie per questo articolo molto istruttivo. Personalmente sono allergica e ho la pelle piuttosto sensibile, quindi l’argomento mi interessa. D’altronde mi sono talmente abituata a leggere la dicitura “cruently free” sulle etichette che non faccio più caso, eppure… Vorrei sapere (Il mio è un interesse sincero senza provocazione, ironia ecc.) quale sarebbe l’alternativa ai test sugli animali in generale a prescindere dalla legislazione in vigore? Testare queste sostanze chimiche direttamente sugli umani: volontari, ricercatori, bambini?

        • Dorothy says:

          Ciao Liliana, grazie a te per l’accoglienza!
          Le modalità di test alternative alla sperimentazione su animali sono un argomento che non conosco bene, tuttavia posso segnalarti questa Review (una pubblicazione scientifica riassuntiva sull’argomento, che fa “il punto della situazione”).
          Riassumendo molto, i test su animali possono essere sostituiti o ridotti da:
          – test in vitro, cioè che prevedono l’utilizzo di colture cellulari;
          – test enzimatici, dove gli enzimi segnalano attività/ reazioni / metabolismi
          – analisi dei dati con modelli statistici e computerizzati (ingegneria biomedica)
          – utilizzo di microorganismi, funghi o animali invertebrati
          L’idea è sempre quella delle 3R che ho descritto nell’articolo.
          Gli studi clinici su volontari umani possono essere svolti solo dopo che una sostanza ha “passato” diverse fasi preliminari, tra cui la valutazione di sicurezza, pertanto non sono considerati alternativi alla sperimentazione animale.

  7. arianna says:

    questo argomento mi interessa moltissimo, lo leggerò con molta attenzione. Volevo solo scrivere qui per dire quanto aspettassi il ritorno di questo blog.
    In mezzo ad un mare di informazioni vaghe e fuorvianti questo rimane uno dei miei posti preferiti
    bentornata e grazie come sempre per il prezioso lavoro!

    • Dorothy says:

      Ciao Arianna, grazie per il tuo riscontro!
      Mi fa sembre piacere riuscire ad individuare un argomento che interessa i lettori, e la questione dei test animali merita davvero quest’approfondimento, per quanto non sia un articolo di buone notizie.
      Fammi poi sapere cosa ne pensi!
      Grazie a te,
      Dorothy

      • Paola says:

        Buonasera Dorothy e ben ritrovata,
        ho sempre temuto che potesse esserci l’inghippo da qualche parte ma ho sempre sperato di sbagliarmi. Purtroppo non è così a quanto pare. E quello che mi sconvolge più di tutto è che da una scorsa veloce alla lista dei “cruelty free” allegata al tuo interessantissimo articolo non ho trovato praticamente nessuno dei miei fornitori abituali e pochissime aziende italiane.

        • Dorothy says:

          Buonasera Paola e grazie!
          Purtroppo un grosso limite (tra i tanti) della lista cruelty free di PETA è che si tratta di uno strumento su adesione volontaria da parte delle aziende: sono loro a dover contattare PETA e mettere in moto la macchina della documentazione per poter essere inserite nella lista.
          Inoltre, PETA è un’organizzazione americana, quindi molte aziende italiane non sono incentivate a partecipare, considerato che dopo tanta fatica questa lista verrà letta soprattutto da consumatori anglofoni.
          Resta poi il problema di molte aziende in elenco che utilizzano ingredienti di origine animale (tra le italiane, Apiarium) oppure ingredienti di origine petrolchimica fortemente inquinanti (Bionike): possiamo ancora considerarle aziende etiche verso gli animali?

          Inoltre, la ricerca del prodotto etico rischia di far perdere di vista altre caratteristiche importanti: la funzionalità (per noi) e la sostenibilità ambientale (per tutti).
          Il modo più facile per valutare è sempre quello di scegliere i cosmetici guardando la lista ingredienti. Scegliendo formule abbastanza classiche dovremmo anche limitare il rischio che gli ingredienti siano testati.

          In definitiva, il consumatore non ha dei veri strumenti (nè le informazioni!) per capire da solo se un’azienda è cruelty free oppure no.
          Le stesse aziende talora non sanno se i loro fornitori hanno dovuto testare gli ingredienti che vendono.

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